Véstiti di felicità con il dopamine dressing

Sfumature vivaci, pois, tulle, colori bold, tonalità vibranti: questi sono gli elementi del dopamine dressing, un fenomeno psicologico che la dottoressa Karen Dawnn, psicologa della moda, ha esaminato nel suo libro “Dress Your Best Life” del 2020.

Dal grigiore del lockdown al colore della vita

La pandemia ci aveva trasformato in un popolo di grigi convalescenti, avvolti dalla nebbia anche mentale della malattia, in una routine artificiale fatta di tute e pigiamoni informi. Post-lockdown, le vendite di capi in tonalità accese come il blu elettrico, il verde smeraldo e il rosa fucsia sono schizzate alle stelle, rivelando un’irrefrenabile voglia di riscatto cromatico.

Qui non c’entra la moda, ma il bisogno profondo di riconnettersi con la gioia di vivere attraverso il linguaggio dei colori, dei pattern e dei materiali.

E’ questo infatti il concetto alla base del dopamine dressing che vede gli abiti come elementi in grado di creare una connessione con le proprie emozioni e provocare nel cervello il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore alla base del meccanismo della ricompensa e del piacere.

Vestire come modo per raggiungere la felicità, con abiti che sono in grado di influenzare l’umore e migliorare la percezione di sè, trasmettendo benessere, comfort e sicurezza. Sembra che i colori intensi e solidi, inoltre, creino nel cervello una connessione diretta ai giocattoli della nostra infanzia, proiettandoci in un mondo sicuro e protetto.

La “cognizione indossata”

L’idea che il modo di vestire possa influenzare la comunicazione sia all’interno che all’esterno di noi è un concetto di cui abbiamo già sentito parlare. In origine infatti era il power dressing, ovvero trasmettere un’idea di potere attraverso gli abiti, (un esempio per tutti, il tailleur indossato dalle donne sui luoghi di lavoro in cui prevale la componente maschile) e più recentemente l’emotional dressing, cioè vestire in accordo con il proprio stato d’animo.

Entrambi i concetti sono alla base della enclothed cognition ovvero “cognizione indossata”, la teoria per cui gli abiti che indossiamo influenzano il nostro comportamento e i nostri processi psicologici. Secondo questa teoria, i vestiti non sono solo materiali che coprono il nostro corpo, ma assumono un significato simbolico che ha un impatto diretto sul nostro benessere e sulle nostre azioni.

Esperimenti hanno dimostrato che le persone che indossavano dei camici da laboratorio o la maglietta di Superman durante una prestazione hanno ottenuto risultati migliori rispetto a coloro che erano vestiti normalmente. Un capo con un significato autorevole ci stimola e ci spinge a concentrarci di più, a mettere maggiore impegno in ciò che facciamo.

Gli abiti non sono più semplici strati di tessuto per coprirci, ma si sono trasformati in strumenti per esprimere la nostra individualità senza vincoli. I diktat della moda sono caduti e ciò che una volta poteva essere considerato “non adatto” o “proibito” è ora accettato e celebrato come parte del nostro stile personale.

Oggigiorno, il modo di vestire è considerato parte integrante dell’identità individuale e riflette la diversità e l’autenticità di ciascuno di noi.

Pare proprio che il vecchio detto, l’abito non fa il monaco, sia passato definitivamente di moda!

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